Cosa hanno in comune un maratoneta e uno scrittore? Chiedetelo ad Haruki Murakami!

Se qualcuno mi chiede di immaginare a occhi chiusi prima uno scrittore e poi un maratoneta, in una tipica giornata di lavoro, mi figuro cose molto diverse.  Lo scrittore sarà seduto ad una scrivania con un computer davanti, magari vicino a una finestra e con una bella tazza di caffè in mano. Il maratoneta invece lo vedo che corre all’aperto, con un cronometro in mano  mentre monitora prestazioni e miglioramenti con metodo scientifico.

Eppure decidere di scrivere un libro o iscriversi a una maratona possono essere percorsi per certi aspetti simili. Lo racconta Haruki Murakami nel  libro “L’arte di correre”.

Quando si inizia a correre per la prima volta non  ci si aspetta certo di poter un giorno correre una maratona! I motivi per cui si inizia a correre ogni giorno  possono essere i più svariati e non necessariamente legati ad un obiettivo più grande. Si corre perchè ci fa stare meglio, si corre per rimanere in forma, si corre per avere uno spazio mentale da dedicare a se stessi. Si inizia piano piano mettendo un passo avanti all’altro finchè questa prassi non diventa un’abitudine che fa parte della nostra vita, come mangiare, bere e lavarsi i denti.

Non è così diverso per la scrittura. Si inizia ad avere l’esigenza di fare un diario, di scrivere frasi, di inventare storie senza un obiettivo preciso; lo si fa perchè dà soddisfazione, perchè ci allena a guardare il mondo con uno sguardo personale, si ha uno spazio per se stessi. Si inizia così a mettere insieme una riga dopo l’altra e una pagina dopo l’altra.

Con la costanza ci si rende conto di fare progressi, nella corsa e nella scrittura, siamo ormai capaci di fare chilometri (non più pochi metri) e siamo anche più rilassati e senza il fiatone. Iniziamo ad apprendere la tecnica, ci informiamo su come ottenere migliori risultati e poi un bel giorno pensiamo che se siamo capaci di correre per venti chilometri potremmo farlo anche per quarantadue. E’ chiaro che lo pensiamo, non siamo davvero in grado di farlo, ma l’abbiamo pensato e quindi siamo già molto avanti.

Se scriviamo quaranta pagine di fila e abbiamo in testa una storia che in poche pagine poi ci sta pure stretta capiamo che non è il momento di indugiare ma bisogna perseverare. Perché non scriverne altre quaranta e poi cinquanta e poi cento? Perchè non un romanzo? Ecco l’abbiamo pensato!

In sostanza iniziamo a crederci e decidiamo di iscriverci ad una maratona! Non arriveremo tra i primi forse ma siamo determinati ad arrivare in fondo, procedendo per tentativi ed errori. Da questo momento inizia la fatica, siamo oltre la metà ma quando cerchiamo di forzare la mano ci accorgiamo che il corpo risponde male, che i muscoli fanno fatica e i nostri allenamenti non mostrano più i miglioramenti sperati. Dobbiamo cambiare qualcosa, dobbiamo rivedere quello che abbiamo fatto e poi lavorare, lavorare e ricominciare. Cosi corriamo immaginando il traguardo e il momento in cui lo taglieremo sorridenti.

Davvero taglieremo il traguardo felici e sorridenti? Forse si o forse no; ma se anche così non fosse avremmo la consapevolezza di esserne stati capaci. Siamo stati capaci di correre una maratona intera e non sappiamo affatto quale potrà essere il nostro miglior tempo!

Il corridore non professionista si prefigge ad ogni gara un suo obiettivo personale, arrivare al traguardo in tot ore. Se riesce a realizzare questo tempo, lui – o lei – penserà di avere raggiuntio un risultato, ma se fin dall’inizio rinuncia a partecipare, non avrà ottenuto un bel nulla e proverà un senso di frustrazione. E anche nel caso che non riesca a terminare una gara nel tempo che si è prefissato sarà contento di avercela messa tutta, godrà comunque di un effetto positivo da cui trarrà beneficio la volta seguente, e nel frattempo avrà forse capito qualche profonda verità riguardo a se stesso: un risultato che è già una conquista. In altre parole, sentirsi o meno fieri di sé una volta arrivati al traguardo, per chi corre su lunga distanza, costituisce un criterio di valutazione.

 

La stessa cosa si può dire che accada nella professione di scritttore. In questo lavoro – per lo meno per quanto mi riguarda – non c’è vittoria o sconfitta. Può darsi che il numero di copie vendute, i premi letterari, le recensioni dei critici costituiscano dei criteri in base ai quali giudicare il risultato, ma non sono l’essenziale. Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è che l’opera compiuta corrisponde ai criteri che lo scrittore stesso ha stabilito, e in questa valutazione non gli sarà facile barare. Davanti agli altri beno o male si possono trovare dei pretesti, ma ingannare se stessi è impresa ben più ardua. In questo senso scrivere un libro è un pò come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno.”

(cit. Haruki Murakami – L’arte di correre)