Strade, moltitudini di persone anonime vestite della loro esistenza. Volti immortalati da uno scatto, gesti, dettagli che diventano storia. L’ordinario è teatro di vita, Vivian Maier, una governante degli anni ’50, lo mise in scena. Il suo smisurato lavoro, composto da più di centoventimila negativi, filmini e fotografie varie, è stato riscoperto recentemente in occasione di un’asta fallimentare (2007). La vita intera della Maier sarebbe passata inosservata se questo singolare corpus fotografico non fosse stato occasionalmente trovato. Fotografò la realtà urbana di New York e Chicago degli anni ’50 e ’60, con particolare interesse per i quartieri più popolari. Con occhio raffinato creò un lavoro unico, geniale perché già in linea con il nostro presente e sorprendentemente emancipato rispetto al linguaggio fotografico della sua epoca. Contemplò i paesaggi dell’anima attraverso il suo sguardo autentico e mai pretenzioso, catturando ciò che vedeva, cogliendo d’istinto l’attimo giusto, rappresentando non solo persone, ma forme e geometrie in grado di dare equilibrio all’immagine stessa, in una sorta di minimalismo visivo. Tuttavia non restò mai invisibile nella scena che rappresentava. Fotografò sé stessa sulla soglia degli scatti: nel riflesso di uno specchio, nell’ombra proiettata, quasi a voler autografare o semplicemente restare parte del suo mondo. Un universo mai esposto, a differenza di quello dei giorni nostri, nel quale la Maier si ricercava attraverso le immagini, anticipando l’urgenza di definizione personale strettamente legata al tempo che viviamo. Le sue fotografie sono state esposte in tutto il mondo e una parte rappresentativa del suo incommensurabile lavoro è attualmente in mostra a Bologna, dove sarà visitabile fino al 27.05.2018, presso l’incantevole sede di Palazzo Pallavicini.
Per informazioni: Palazzo Pallavicini