Si chiama Poirot la protagonista del giallo edito da Marcos y Marcos “Penelope Poirot fa la cosa giusta”. Omonimia con il protagonista dei romanzi di Agata Christie? Non secondo Becky Sharp, la scrittrice o lo scrittore (che si nasconde dietro questo pseudonimo) autore del libro.
Se Hercule Poirot è un uomo ordinato e metodico sua nipote Penelope Poirot non sembra esserlo altrettanto, approssimativa e sregolata, segue la pista di un omicidio in modo randomico e casuale. Ha un caratterino che non passa inosservato Penelope Poirot soprattutto nel rapporto con la segretaria Velma Hamilton a cui non manca di ricordare la diversa classe sociale di provenienza.
Snob quel tanto che basta per non essere amata fin da subito conquista il lettore gradualmente perché lo guida con la sua indole curiosa nelle pieghe della trama e lo illumina con la sua ricerca della giustizia.
Penelope Poirot si ritrova invischiata in un caso di omicidio all’interno di un centro benessere in Toscana dove tra massaggi, creme benefiche ed incontri di auto-aiuto va alla ricerca del colpevole. Le ambientazioni, i personaggi e la trama rievocano l’atmosfera dei romanzi di Agata Christie ma in chiave moderna. Il rapporto tra Penelope Poirot e la sua fida collaboratrice Vilma è molto divertente basato sull’alterco tra il mondo popolare di Vilma, pragmatica ma ingenua, e la provenienza altolocata di Penelope Poirot diffidente e intrisa di sovrastrutture culturali.
Entrambe le donne hanno una personalità complessa e nascondono piccoli segreti: Vilma fa sfoggio di rispetto e buone maniere verso Penelope ma in realtà la considera arrogante e bizzarra. Penelope Poirot mantiene la maschera di una donna moderna e tutta d’un pezzo nascondendo le sue debolezze: di notte fuma di nascosto, adduce motivazioni romantiche alla sua preferenza per lo scrivere a macchina per non ammettere di rifuggire dalla tecnologia.
A prescindere da dove vi troviate consiglio la lettura di questo libro in un posto silenzioso, all’imbrunire in un angolo di verde.
“Roccamara era un piccolo borgo pittoresco, ben conservato e studiatamente suggestivo. Malgrado la stagione il turismo non mancava: per i vicoli scuri che ramificavano dalla strada principale insegne curate e discrete segnalavano la presenza attiva di ristoranti e negozietti. – Qui se non ricordo male, c’è un’erboristeria adorabile – dichiarò Penelope svoltando per una stradina. – Aspetti… sì… eccola lì – confermò soddisfatta indicando una targa in latta, illuminata da una lanterna di gusto retrò. – Sapesse! Hanno delle saponette al latte d’asina letteralmente favolose. È un contorno occhi all’olio d’oliva davvero irrinunciabile -. Si arrestò per un attimo e in preda a una specie di raptus mi trascinò sotto la lanterna: mi abbrancò il mento, mi girò la faccia sotto la luce, mi studiò con fare critico. – Non me ne ero mai accorta Hamilton, ma sotto quegli occhiali lei nasconde delle borse inqualificabili. Qui urge, e dico urge, un contorno occhi come si deve! – . Distolsi il viso con stizza. Negli occhi di Penelope volteggiò per un attimo qualcosa che assomigliava al disagio. Poi la pupilla tornò ferma, la mano guantata abbandonò il mio mento e tornò ad afferrare i lembi della mantella. – Faccia come crede, Hamilton. Entriamo. -”
“Penelope avrebbe potuto tranquillamente fare a meno di una segretaria se avesse imparato ad usare il computer e i relativi programmi di videoscrittura. Ma non aveva voluto. Odiava quel ‘marchingegno diabolico’ e se ne era procurato uno, quello che stavo usando io, solo per essere al passo con i tempi. […] – Vuol mettere, Hamilton, quel ticchettio appassionato, lo strappo feroce della carta, il gesto plastico della mano che getta il foglio appallottolato nel cestino? C’è tutta la drammaticità dell’arte dello scrivere. Quei cosi, invece – e indicava il portatile – quelli fanno appena rumore: titìtitìtitì. Puah! Non c’è furore, nello scrivere al computer! -“.