Il Castello di Melfi, il museo archeologico e i tesori della civiltà dauna

C’è una città a cui penso con affetto, Melfi. Il suo ricordo si aggrappa alla mia terra e sostiene i giorni felici della mia adolescenza come le radici degli alberi afferrano la montagna e la sorreggono. Cinto d’azzurro, in cima all’antico borgo della città si erge il castello normanno, frammento e sostanza del mio passato, oggi sede di uno dei musei archeologici più visitati in Italia. Edificato alla fine del XI secolo, attore e testimone di una storia millenaria, il castello fu sede di importanti avvenimenti, concili e concordati: il Trattato di Melfi del 1059, l’investitura a Duca di Puglia e Calabria di Roberto il Guiscardo, condottiero normanno citato da Dante nella Divina Commedia, le Costituzioni di Melfi e il Codice Legislativo del Regno di Sicilia, promulgate da Federico II di Svevia nel 1231. Tra il XVI e il XVIII secolo fu la famiglia Doria, composta da nobili possidenti d’Italia e padrona del castello, a volere fortemente il museo di cui attualmente esso è sede. Inaugurato nel 1976, il museo archeologico oggi custodisce importanti testimonianze storiche risalenti a insediamenti dauni, rinvenute nel comprensorio del Vulture-Melfese. La civiltà dauna, fiorita dal IX al IV secolo a.C. nella Puglia settentrionale e in alcuni centri del Melfese, nelle antiche Forentum (Lavello) e Venusia (Venosa), si pone tra le più caratteristiche culture preromaniche d’Italia, con tipici rituali e notevoli produzioni artistiche rinvenute nelle tombe. Il museo espone corredi funerari del IV-III secolo a.C. comprendenti vasi di produzione greca ed etrusca, preziosi ornamenti in argento, oro, ambra e armature in bronzo. Particolarmente raffinate sono le ceramiche magno-greche a figure rosse e a decorazione policroma, ritrovate a Lavello. Tra queste spicca un vaso, forse appartenente al corredo funebre di un bambino, che si compone di decorazioni uniche nel loro genere, realizzate probabilmente da un adulto, ma con la forma dei disegni infantili. Caratteristica è anche la tomba della sposa, da cui sono emersi pregiati ornamenti femminili. E ancora, tra gli originali reperti si distinguono oggetti di uso comune come bicchieri, brocche, piatti raffiguranti il cavallo, simbolo di ricchezza e mezzo di spostamento, e la civetta, animale del buon auspicio. Al primo piano si passa dai ritrovamenti dauni, a quindici tele con soggetti venatori, esposti nelle Sale Doria insieme al telero raffigurante lo Stato di Melfi. Infine a piano terra è custodito il Sarcofago di Rapolla, un prestigioso oggetto in marmo bianco, fulgente di maestosità ed eleganza. Appartenuto a un’antica famiglia turca, fu rinvenuto verso la metà del 1800 da un contadino, lungo il percorso della via Appia, vicino Rapolla, e successivamente consegnato alla città. La donna, rappresentata in altorilievo ha una pettinatura patrizia, ciò lascia presumere che la tomba ospitasse il corpo di una nobile. Il Museo Archeologico di Melfi è una preziosa testimonianza, che consiglio di visitare per l’unicità dei reperti e per la storica cornice medievale che lo ospita. L’esposizione è aperta al pubblico tutti i giorni nei seguenti orari: il lunedì dalle ore 14.00 alle ore 20.00 e dal martedì alla domenica dalle ore 9.00 alle ore 20.00.

Per maggiori informazioni:

Museo archeologico nazionale del melfese “Massimo Pallottino”