I colori della memoria nella mostra “Berlin, Brandenburger Tor 1989”. Intervista a Massimo Golfieri

Attimi storici, memorie di un sogno affacciato oltre un muro che nella notte del 9 novembre 1989, da simbolo di divisione e ostilità, diventa emblema di speranza. Le quaranta immagini scattate dal fotografo imolese Massimo Golfieri immortalano la storica caduta del muro di Berlino, tangibile demarcazione delle opposte ideologie che in epoca di guerra fredda dividevano il mondo intero.

Scatti in bianco e nero rimasti a lungo inediti, su cui affiora il pigmento vivace della libertà, in cui il plumbeo cemento armato si tinge di gioia e disvela l’alba di una nuova era.

Attraverso l’armonia fotografica e pittorica Golfieri coglie lo sguardo incerto dei berlinesi, il loro respiro sospeso sul cambiamento, la porta di Brandeburgo, un tempo tirannica e divisoria, straordinariamente addolcita dal pennello di un giovane artista che la ritrae in mezzo ai volti bagnati dalla pioggia, un bambino sollevato al disopra della folla, simbolo della giovane vita che si innalza in direzione della pace.

La mostra Berlin, Brandenburger Tor 1989 inaugurata il 31 ottobre presso lo Studio Cenacchi a Bologna, espone a trent’anni esatti dalla caduta del muro un reportage completamente analogico degli eventi di cui il fotografo è testimone. In occasione dell’esposizione, si racconta in un’intervista a Libri&Co.

Massimo Golfieri, dopo trent’anni hai disvelato al pubblico una testimonianza tanto incisiva dal punto di vista storico quanto sorprendente sotto il profilo artistico. Perché hai scelto di farlo ora?

Perché quando in vista del trentennale della caduta del muro di Berlino ho riguardato quei negativi ho scoperto che contenevano una storia che doveva e poteva essere raccontata, soprattutto in questo momento storico.

Inoltre mi piaceva l’idea di presentare dopo trent’anni un reportage fotografico, colorato a mano per giunta, nell’era in cui i media sono completamente digitalizzati e ci portano notizie in tempi esasperatamente reali.

Cosa hai provato in quello storico giorno di novembre nel confronto diretto con la gente di Berlino?

Dopo il 9 novembre 1989 rimasi a Berlino un paio di mesi ospite di amici tedeschi ed ebbi il tempo di andare a est e a ovest della città, documentando situazioni di vita quotidiana.

In genere cerco di instaurare un rapporto empatico con le persone che mi interessa fotografare, a volte basta un sorriso d’intesa ma il più delle volte chiedo loro il permesso.

Nelle strade di Berlino si coglieva il cambiamento in corso e l’inquietudine della gente per il futuro.

Il momento magico è stato quello davanti a Brandenburger Tor nel giorno dell’apertura ufficiale del muro, avvenuta un po’ di giorni dopo il 9 novembre, quando il tempo delle feste iniziali si era placato. Ho girato le spalle al muro superstar e ho guardato le persone di Berlino con la pioggia sui visi: esprimevano una sincera commozione nonostante la germanica compostezza. Erano consapevoli che stessero vivendo un giorno storico per la loro città e il loro Paese.

Ho sentito che stavo condividendo quel momento universale con migliaia di uomini, donne, bambini, anziani. Ho iniziato a fotografare queste persone con cautela, cercando di non turbare la loro concentrazione. Anche io ero molto concentrato e credo di essere riuscito a cogliere quello che mi interessava di più, l’atmosfera speciale e lirica che mi circondava.  

Intuivi già quello che sarebbe accaduto a livello politico e sociale?

Nell’agosto del 1988 insieme ad altri artisti di Bologna tenni una mostra a Berlino, quando fu Capitale Europea della Cultura. Già da un anno seguivo attentamente a distanza il fermento della città, la gente dell’est era un fiume in piena che premeva, una parte riusciva a entrare dall’Ungheria ed era evidente che qualcosa di importante stava per accadere.

Come è stato riguardare quegli scatti a distanza di tempo?

Rivedere quelle immagini ha acceso tanti ricordi e ho ricostruito con chiarezza il percorso che avevo fatto trent’anni fa. Erano all’incirca seicento fotogrammi che ho successivamente digitalizzato e esaminato per fare una selezione. Il primo pensiero è che parevano incredibilmente pochi rispetto al numero di scatti che oggi siamo in grado di realizzare in digitale. Ma questo è un altro discorso. Alcune immagini sembravano quelle del dopoguerra: le pettinature, i cappotti pesanti, i vestiti delle donne, gli scialli sulla testa nel grande mercato dei polacchi a Potsdamer Platz. Queste sono state alcune delle cose che mi davano il senso del tempo passato che diventava un valore aggiunto per una storia da raccontare.

Quale tecnica hai utilizzato nella stampa e nella colorazione?

Ho usato una tecnica totalmente analogica: stampa in camera oscura su carta bianco e nero ai sali d’argento baritata. Poi le stampe le ho dipinte a mano con l’antica tecnica del ritocco, quella che usavano i Pittorialisti prima della fotografia a colori, per rendere più poetiche le loro immagini. Sono colori non coprenti, tinture a base di anilina e di albumina che non nascondono i chiaroscuri originali della fotografia.

Con questa pratica si possono trasformare le fotografie, perfino falsificare le storie con animistica ambiguità e inventiva. L’ho già utilizzata in diversi miei lavori fotografici in passato.

“I colori della memoria” è il sottotitolo della mostra. Cosa rappresenta per te la memoria e quanto e come ha inciso sulla tecnica e sul colore?

La memoria, che non va confusa con la nostalgia, è stato il motivo dominante di tutto questo lavoro ed è un invito a ricordare con la testa, con il cuore e anche con le mani perché è contenuta anche nella manualità.

Dopo l’avvento delle tecnologie digitali abbiamo subito un bombardamento di immagini e informazioni tale da polverizzare e confondere la memoria degli eventi.

Ho dipinto con i colori che ricordavo, non tanti in verità e ho inventato quelli che non ricordavo, ho cercato di dedurli dall’intensità del bianco e nero fotografico, sempre però con l’intento di riportare al meglio la mia personale lettura dei fatti.

La mostra “Berlin, Brandenburger Tor 1989”, a cura di Jacopo Cenacchi, proseguirà fino al 28 novembre 2019 presso lo Studio Cenacchi in via Santo Stefano 63 a Bologna, da martedì a sabato, dalle ore 15,30 alle ore 19,00 e su appuntamento.

 

Per informazioni:Studio Cenacchi