Dall’incisione, alla pittura, alla fotografia. A poco più di dieci anni dalla morte di Carlo Gajani è possibile visitare fino al 6 novembre 2020, a Bologna, presso il Centro Studi della Didattica delle Arti di Via Cartoleria 9, una retrospettiva che condensa quarant’anni di opere in cui l’artista coniuga il quotidiano e il monumentale in un seducente gioco di tratti d’ombra, sbocchi di luce e squarci di cromatismi accesi.
Carlo Gajani nasce a Bazzano l’11 gennaio 1929, consegue la laurea in medicina nel 1953, esercitando la professione di medico contemporaneamente all’attività artistica, fino alla fine degli anni sessanta. Divenuto artista a tempo pieno, con il sostegno illustri critici quali Renato Barilli, Franco Russoli, Filiberto Menna e di notevoli galleristi quali Forni a Bologna e Toninelli a Milano, abbandona la carriera di medico, orientando le sue competenze scientifiche all’insegnamento dell’anatomia artistica presso l’Accademia delle Belle Arti, prima a Urbino e poi a Bologna fino al 1999. Presenzia due volte alla Biennale di Venezia, nel 1964 e nel 1972.
La mostra, curata da Renato Barilli, coadiuvato da Piero Casadei e Luca Monaco per la fotografia e Giuseppe Virelli per la pittura, è promossa dalla Fondazione Carlo Gajani, presieduta da Angela Zanotti Gajani e dal Liceo artistico Francesco Arcangeli di Bologna.
La produzione artistica di Carlo Gajani si articola in tre sezioni principali. La prima e la seconda, attraverso un arco temporale che va dagli anni Sessanta agli anni Settanta del secolo scorso, sono dedicate rispettivamente all’incisione e alla pittura. Le incisioni sembrano ancora intrise delle conoscenze mediche di Gajani, sviluppate in rappresentazioni volte a portare in luce gli oggetti immersi nelle cavità del nostro organismo, corpi sferoidali, organi, forse spettri che affiorano in superficie con fine liberatorio. Negli anni Settanta l’artista sperimenta il ritratto dipinto, partendo da una base fotografica con cui ritrae luminari della vita culturale bolognese tra cui Pasolini, Moravia, Calvino, Eco, Ginzburg, Arbasino, raccolti e commentati nel 1976 nel volume “Ritratto, identità, maschera” pubblicato con la Nuovo Foglio Editrice. La terza e ultima sezione è quella dedicata interamente alla fotografia, in cui l’artista più maturo percorre tematiche differenti che spaziano dal ritratto, all’autoritratto dai cromatismi accesi, al nudo femminile che affiora da fondi scuri, al paesaggio, inteso sia come luogo al di fuori di sé, quello urbano del Nord America, sia come intima riscoperta della coscienza, volta “(…) a ricercare per un’ultima volta la propria immagine nelle screpolature dei casolari, o nel trascorrere delle acque, o in praterie sferzate dai venti.”(cit. Renato Barilli).
Come un cerchio che si chiude, attraverso una fotografia nuova che si congeda dalle pregresse tecniche volte a imprimere e impaginare immagini sulle ampie superfici, Gajani, nell’ultima fase della sua evoluzione artistica, quasi in un gesto di preveggenza, si congiunge alle unità minimali, alla maglia fitta e frammentata dei pixel, a cui oggi sono interamente affidate le nostre figure, ritorna agli elementi originari che strutturano la trama della sua natura: il paesaggio primordiale, quello dell’Appennino Tosco-Emiliano, le colline, i cieli della sua prima vita, i campi e le vecchie dimore a cui si riconsegna fino alla morte avvenuta nel 2009.
Le esposizioni delle sue opere hanno trovato seguito, oltre che in Italia, anche in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Canada.