La natura sussurrata, negli scatti di Enzo Sbarra. L’intervista

Venti fotografie raffiguranti nature morte, elaborate con una tecnica mista. L’autore è Enzo Sbarra, ritrattista in Europa, Stati Uniti e Brasile. Nei suoi scatti ha immortalato Hermann Nitsch, Marina Abramović, Gina Pane.
Precursore a Bologna della Street poster art, con l’opera Alma Mater affissa nel 2010, ritorna con la mostra curata da Marco Testa, Back to Black.
Un percorso sorprendente, uno spazio che reclama il dialogo con la natura attraverso lo stato della materia vegetale.
In occasione dell’esposizione, si racconta in un’intervista a Libri&Co.

Enzo Sbarra, qual è la tua personale concezione di fotografia?
Non mi piace dare una definizione in tal senso, non amo concettualizzare. Le parole, molto spesso, chiudono le situazioni. Io amo comunicare ma senza circoscrivere i fenomeni, perché toglierei all’altro la possibilità di sentire. È come quando vedi un film su una storia di cui hai letto il libro, a me non piace. Mettere la faccia al personaggio annulla l’immaginazione del lettore.

Qual è il tuo approccio con lo scatto, sei istintivo o prediligi la ricerca?
Lo scatto arriva. Come per qualsiasi creazione è dettato dall’ispirazione. Ma non solo lo scatto o il pensiero creativo, cose ed eventi giungono a noi. La vita va colta e vissuta per come si propone. Non possiamo forzare i fenomeni, dobbiamo saperli cogliere con la giusta apertura.

Le venti fotografie in mostra sono una rivisitazione della natura morta in chiave contemporanea, da cosa hai tratto ispirazione per la creazione di questo lavoro?
La verza. Amo rappresentarla, ho fatto ritratti di persone con la verza. È nato così il mio interesse per i vegetali, gli ortaggi, i fiori.

Dall’idea, allo stile, fino alla forma delle rappresentazioni create. Come nascono le tue opere?
L’ispirazione. Come dicevo prima: le cose arrivano e noi dobbiamo essere disposti a coglierle.

C’è un aneddoto particolare che ti piace ricordare nella realizzazione di questo lavoro?
Sì, ricordo che un visitatore della mostra tolse la mosca morta che avevo collocato su uno dei ritratti, pensando che si fosse posata lì per caso. Ne ho dovuto collocare un’altra. In origine, però, quella mosca sull’opera non c’era. L’ho messa successivamente. A Napoli ho degli amici che hanno un vecchio casolare. Dentro è pieno di insetti mummificati. È lì che ho trovato la mosca, c’era anche uno scarabeo e una lucertola. Avrei voluto osare molto di più, mi sarebbe piaciuto collocare quella lucertola sul ritratto della pelle di serpente svuotata, ma il curatore non era stato informato di questo. Insomma, l’idea era arrivata ‘work in progress’. Il mio lavoro spesso è in divenire.

Come Pirandello che metteva mano alle sue opere a ogni ristampa?
Sì, è proprio così.

Nelle tue rappresentazioni, buio e luce giocano ruoli distinti e allo stesso tempo complementari. Il tono scuro del vuoto percepito conserva una propria identità, non soccombe alla luce ma le fa spazio, il colore emerge con delicatezza senza negare la profondità del nero, le forme trovano posto nel vuoto senza contraddirlo. Questi concetti individuano una visione di equilibrio?
Sicuramente l’equilibrio percepito è una delle chiavi di lettura e rappresenta la tua intuizione. Averla suscitata mi gratifica perché è proprio questo il mio obbiettivo, non c’è alcun messaggio univoco nei miei lavori. Sono felice che l’osservatore interpreti la mia opera in base al suo modo di sentire, vuol dire che l’ha colta attraverso un’emozione, una sensazione, un ricordo che affiora.

La materia che si fa veicolo di ricordi ed emozioni. Mi viene in mente Proust che assapora la sua madaleine immersa nel tè di tiglio.
Certo, è un pensiero analogo.

Nel corso della tua carriera artistica la città di Bologna ti ha attribuito un importante riconoscimento, definendoti “precursore della Street poster art”. Questo piacevole ricordo quanto ti lega a questa città?
Non è solo questo ricordo a legarmi alla città di Bologna. Ci sono tornato in più fasi della mia vita. Credo che Bologna non sia paragonabile ad altre realtà, è unica nel suo genere. È la città in cui vivo ora ed è l’unica città che in questo momento mi piace. Per la sua dimensione umana, per la mescolanza di mille contesti. È un centro nodale, tutto passa da Bologna. Insomma, è un luogo dove accadono cose.

Immagini evocative dunque, in cui il bilanciamento di luce, colore e vuoto non conosce compromesso, ma si completa di tutte le sue componenti. L’osservatore si lascia coinvolgere dall’equilibrio, che lo ingloba fino a identificarsi con la figura. Fino a percepire, nell’oscurità rinfrancata una nota di sogno. È l’inconscio rappresentato, l’emozione che affiora dagli abissi della psiche.
La mostra, in esposizione presso la Galleria B4, in via Vinazzetti a Bologna, sarà visitabile fino al 29 giugno 2018 dal martedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 20. Ingresso libero.

Per informazioni: Galleria B4, arte contemporanea a Bologna