“Tutte le volte ci trovano inappropriati, ma oggi in particolare. Ce ne stiamo senza alcun posto dove andare e niente da fare, dentro un furgoncino arrugginito, quello che perde olio, con le trasmissioni più sfondate della motosega di Non aprite quella porta. Ce ne stiamo con il motore acceso per l’aria condizionata, le portiere spalancate per far prendere un po’ di fresco alle gambe. Perchè per sopravvivere all’afa, dalle nostre parti, è tutto ciò che abbiamo.”
“Afterparties”, è una raccolta di racconti in cui l’autore ti prende per mano e ti porta in America, all’interno della comunità cambogiana, raccontandola attraverso il proprio vissuto e attraverso quello degli altri personaggi che popolano il suo universo.
Il ritratto è quello di una comunità che vive in California, ma in un mondo parallelo, in un’esistenza che può solo sfiorare quella dei “veri” americani, un mondo che offre ai padri immigrati ben poche possibilità di condurre una vita dignitosa.
I protagonisti sono tutti nati in America da genitori khmer, sono giovani, hanno dei sogni, alcuni fanno parte della comunità lgbt+, ma chi sono per davvero questi ragazzi oltre a essere i figli e i nipoti dei cambogiani sopravvissuti al genocidio? Sono persone spaccate a metà, divise tra riti buddisti, cibo tradizionale e desiderio di novità, dominati dall’urgenza di scrollarsi di dosso l’etichetta di “cambo”. C’è chi rimane bloccato a portare avanti l’attività di famiglia e chi riesce a scappare via, a frequentare l’università, persino una prestigiosa, a smettere una volta per tutte di essere così “cambo”.
Alcuni personaggi e luoghi li ritroviamo in diversi racconti, altri sono nuovi, ma hanno tutti in comune il fatto di vivere sospesi tra due mondi che sembrano inconciliabili. E’ la dimensione autobiografica a collegare le storie tra loro.
Il cibo è un elemento identitario forte, onnipresente all’interno della raccolta. Anche attraverso i piatti tradizionali, alcuni ritenuti immagiabili dai ragazzi di seconda generazione, le nonne, le zie, le Ming e le Ma della Central Valley californiana mantengono vivo il loro essere khmer.
“Come hanno fatto le ragazze a diventare così poco khmer?” Si domanda un padre.
Lo scontro generazionale è esasperato dal genocidio che va a creare uno spartiacque tra chi l’ha vissuto, e se ne porta ancora dentro i fantasmi, e chi non l’ha fatto perché è nato in America.
“Ma che significa poi essere Khmer?I Khmer l’hanno sempre saputo in cuor loro che sono khmer? Ci sono emozioni di cui fanno esperienza solo i khmer e gli altri no?” Si chiedono i figli.
Il linguaggio è vivido, spesso crudo, sembra di sentire tra le pagine il profumo delle ciambelle del Chuck’s Donuts o la puzza perennemente presente all’interno della corsia sei del supermercato di Superking Son, ma è anche grazie a questa scelta che la narrazione è così potente.
“Ti ho cresciuto perché ti preoccupassi delle cose, e troppo. Delle parole, per dirne una. Tutti quegli anni passati a lavorare come assistente bilingue, a disfare ciò che i bambini khmer imparavano a casa, magari mi hanno resa paranoica. Pensavo che avessi bisogno di rafforzare e sciogliere il tuo inglese, la tua americanità. L’ultima cosa che avrei voluto era che finissi come il Ba – a parlare quell’inglese ciancicato ai suoi clienti infastiditi, un’esistenza immersa nel grasso di automobili appartenute a uomini più americani di lui.” E’ la preoccupazione di una madre.
Racconti Editore non mi delude mai con i suoi volumi curati in ogni dettaglio, dalla selezione degli autori alla veste grafica.
Afterparties, Anthony Veasna So – Ed. Racconti