Stiamo per iniziare un periodo natalizio molto, molto casalingo. Per qualcuno sarà un momento di riposo, per qualcuno difficile, per qualcuno noioso, per qualcun altro chissà. Io credo che rispolvererò la mia libreria di gialli. Se la vita diventa ripetitiva o poco avvincente meglio tuffare la testa in un enigma o in una trama con colpi di scena. Il giallo non solo intrattiene, ma suggestiona ed occupa la mente. Se è ben strutturato ci assorbe e ci fa restare incollati alle pagine, anche negli orari più insoliti, alla ricerca della soluzione del mistero.
Quello che vi propongo oggi è un racconto giallo breve di Marco Malvaldi: “Il Capodanno del cinghiale”. Non so sapete che secondo il calendario pisano, in uso in alcune zone della Toscana fino alla metà del XVIII secolo, il primo giorno dell’anno si festeggiava il 25 marzo. Cosa succede se per qualche motivo non si può degnamente festeggiare il Capodanno? Chissà magari si può recuperare il venticinque marzo seguendo il calendario pisano.
“Non era stato facile per il Paletti spiegare alla moglie che era stato arrestato per aver risposto per le rime a un agente di polizia; e per trovare il perdono della moglie, a un certo punto si era compromesso di fronte a tutti. – Giuro che non bevo più fino al prossimo Capodanno. – Come? aveva chiesto il Tenerini. – Ho detto… – aveva incominciato il Paletti per poi esitare, essendo arrivata la consapevolezza che forse aveva fatto la cazzata. – Hai detto davanti a tutti che non tocchi più un goccio d’alcol fino al prossimo Capodanno. L’hai detto o no? – Si l’ho detto ma… – Ò, ragazzi, l’ha detto, eh – aveva a quel punto sottolineato il Chiezzi. – Testimoni noi, Laura, non ti preoccupare. Non gli si fa toccare nemmeno i boeri -.
Così era cominciata l’astinenza alcolica forzata del Paletti, il quale non era affatto un forte bevitore, ma un tipo sociale come la gran parte del genere umano…”
È quello che decidono di fare Massimo Viviani e gli adepti della confraternita del Cinghiale. Come di consueto, i protagonisti del “Bar Lume”, si ritroveranno coinvolti in una vicenda di omicidio che però a causa dell’alcol e del divertimento faranno fatica a decifrare.
“Bastò una breve ricerca su Internet per confermare quello che il Viviani, insieme agli altri membri della masnada, aveva sostenuto dinanzi agli inquirenti: e cioè, innanzitutto, l’esistenza della associazione. La quale, a guardare lo Statuto regolarmente pubblicato in rete, doveva essere una accolita di buontemponi, a giudicare dall’ Articolo 1 (che, piuttosto verbosamente, certificava che <<Nello spirito dell’eccesso, nell’ebrezza dell’alcol, nella voglia di stare insieme, nella certezza di fare casino, nella gioia dell’amicizia e nella ricerca della denuncia viene costituita l’associazione ludico-infamante-ricreativa che assume la denominazione di “Loggia del Cinghiale”) e dell’immediatamente successivo Articolo 2 (il quale, più laconicamente, asseriva “W la topa”).