Molti scrittori hanno voluto confrontarsi con il mito di Sherlock Holmes restituendo, un’immagine più o meno fedele all’originale o fornendo una reinterpretazione che possa dirsi più o meno riuscita, così ha fatto anche Dale Furutani che ci racconta il suo Sherlock e ci presenta un momento particolare della sua vita, quello in cui, dopo avere inscenato il proprio suicidio presso le cascate di Reichenbach, Holmes si finge un esploratore norvegese che giunge in Giappone con il nome di Sigerson. Arrivato a Karuizawa, una località di villeggiatura molto frequentata da inglesi e canadesi ha la necessità di trovare un alloggio discreto in modo da potere restare in incognito. Tramite l’interessamento del Colonnello Ashworth diviene ospite del dottor Watanabe.
Il romanzo è originale fin dalla cornice in cui è inserito, infatti l’autore immagina di ricevere un cofanetto contenente alcuni taccuini scritti interamente in giapponese da una anziana obaasan, “nonnina”, incuriosito decide di farli tradurre. E’ proprio in quel momento che entriamo nel mondo e nella casa del dottor Watanabe che ci parla in prima persona grazie alla voce prestata dall’autore.
Ogni capitolo è introdotto da un haiku e racconta una piccola avventura in cui è sempre presente un’ indagine ma questo fatto non deve trarre in inganno, non si tratta del solito romanzo giallo, l’investigazione è piuttosto lo spunto per decrivere tradizioni, luoghi, personaggi e per indagarne l’animo. E’ una storia che racconta anche il superamento delle diffidenze reciproche e la costruzione di un rapporto di amicizia tra due persone in grado di entrare l’uno nella vita dell’altro in punta di piedi.
Lo ritengo un romanzo delicato, da gustare piano insieme ad una tazza di tè, la bevanda che accomuna i due protagonisti sebbene sia verde per Watanabe e nero per Holmes.